La disperazione di Kurt Cobain
con una poesia di Marco Morgan Castoldi
«La voce di Damato è assai concreta, diretta, e cioè narrativa. Si nota, in questo, la formazione come drammaturgo e regista, per via dell’agilità che possiede la sua parola di trasformarsi in immagine, in creazione, dunque in storia. Potremmo definire a ragione tali scritti dei cuentos, nella migliore tradizione di Robert Musil o dei fragments alla George Perec. Più che poesia, allora, dei racconti che vanno spesso a capo, tanto la linearità del senso e della verità narrativa resiste agli enjemblement e sopravvive all’horror vacui dello spazio bianco. Le immagini mentre derubano una realtà universale, inchiodano ognuno di noi come un colpo di pistola. O per meglio dire, sanno svelare e interpretare i desideri, le mancanze, gli incubi, le aspettative del cuore umano. Una coraggiosa ricerca linguistica».
il Fatto Quotidiano - Angelo Mollica Franco
Cosimo Damiano Damato è nato a Sud in una notte di settembre negli ultimi decenni del Novecento. Fuma sigari Toscani. Si commuove leggendo Don Chisciotte e Gramsci. Ha la tessera dell’anpi e quella di Rifondazione Comunista. Ha ricevuto la benedizione di Don Gallo. Gira per mercatini alla ricerca di teste di bronzo. Ha una collezione di cappelli e pinocchi. È padre d’arte, ha un figlio di nome Nirvana, nato quando Kurt Cobain se n’è andato. Ama da tanti anni la stessa donna di nome Sibilla che gli ha donato un profumo all’incenso. Passeggia sui porti desolati nei giorni di pioggia. Sulla sua carta d’identità alla voce professione c’è scritto Poeta, anche se ha smesso. Non regala fiori morti e ha piantato un melograno. Ogni tanto legge le sue storie in qualche teatro all’italiana, altre volte le pubblica e altre ancora le trasforma in immagini per il cinema. Non crede ai premi, va ai festival solo fuori concorso. Gli piacerebbe tenere un mulo domestico. Si è vaccinato tre volte e attualmente sta scrivendo il suo testamento.